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La funzione della poesia nella letteratura del Novecento

 

Per parlare della funzione del poeta nella letteratura del Novecento dobbiamo volgerci un po’ indietro e guardare al contesto tecno-scientifico della seconda metà dell’Ottocento, quando in tale ambito si assiste a un notevole progresso e straordinarie invenzioni, quale quella del treno, del telefono, dell’automobile sconvolgono l’immaginario collettivo e determino una nuova percezione della dimensione spazio-temporale:le distanze immediatamente si accorciano e gli orari diventano sempre più frenetici. Nasce un mondo nuovo dove protagonisti sono la tecnica e il denaro; tra poco, tra l’ultimo decennio del sec. XIX e il primo del XX, la Seconda rivoluzione industriale avrebbe completato questo mutamento, suscitando entusiasmo per il crescente benessere e alimentando il mito della” belle epoche”, cioè un’epoca di spensieratezza e di speranza .L’Italia, in questo processo che vede il passaggio dal decollo alla maturità industriale, arriva per ultima, ma riesce a recuperare. In seguito, l’accentuarsi dei contrasti tra i diversi imperi economici e politici, insieme con la diffusione del militarismo e del nazionalismo sfoceranno nella prima guerra mondiale,”la guerra totale” (1914-18), ma essa non risolve i problemi d’instabilità, di crisi economica, sociale e demografica e ciò agevola nel dopoguerra il trionfo di regimi autoritari di massa: fascismo, nazismo, franchismo. In questo contesto, che in linea di massima inizia negli ultimi decenni dell’Ottocento e si conclude nel primo quarto del secolo successivo (1925), l’arte cade dal trono e diventa merce che non solo vale per quanto produce, ma tende anche ad essere considerata dalla classe borghese emergente come strumento di svago di divertimento e di conseguenza si tende a banalizzarla per renderla rispondente a questo scopo, direi ludico, che si tende ad attribuirle. Gli artisti e perciò anche i poeti perdono il loro prestigio. Le alternative al declassamento sono la denuncia impotente, la provocatoria ribellione (Baudelaire e i cosiddetti Poeti Maledetti : Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, ma anche gli Scapigliati in Italia), o l’affermazione della figura del dandy, ossia di chi ostenta la propria bellezza, eleganza e ricercatezza nella snobistico culto della propria superiorità contro la volgarità borghese e costruisce la propria vita come fosse un’opera d’arte, per cui arte e vita finiscono con l’interscambiarsi e il confondersi. Esempio emblematico in tal senso è D’Annunzio, la cui personalità è in ogni caso impensabile al di fuori della società di massa, egli infatti inaugura la figura della star dei nostri tempi, del divo che si afferma in ogni ambito letterario: poesia, narrativa, teatro e, infine il nascente cinema e che trova proprio in quella società che pur disprezzando sa anche spregiudicatamente lusingare l’acquirente dei suoi prodotti artistici. Comunque, a prescindere dalle modalità delle reazioni, il poeta perde importanza, non è più vate, ossia poeta di alta e nobile ispirazione morale e civile. Nell’ambito della letteratura simbolica e decadente, il poeta vate è sostituito dal poeta sacerdote che, in un certo senso, è anch’egli vate perché interprete privilegiato e rivelatore dei significati profondi della natura e della vita, ma dall’altra non lo è perché viene meno l’impegno civile e la realtà storico sociale scompare dalle loro opere, dove predomina la tematica esistenziale, l’io, lo strato profondo della sua psiche ma anche la natura ora in sintonia con lo stato d’animo dell’artista, ora in contrasto con il suo essere e con il suo sentire.

I già citati poeti maledetti o il Pascoli della Poetica del Fanciullino in Italia sono gli esempi più importanti di tal modo di concepire la poesia e il ruolo del poeta. Saranno in ogni modo i Crepuscolari che metteranno del tutto in crisi i tradizionali ruoli del passato e opponendosi soprattutto ai clamori dannunziani, affermano la vergogna dell’atto poetico. Secondo Gozzano, la poesia non può affermare nessun significato positivo, né indicare prospettive perché essi riguardano ormai i valori sorpassati di una civiltà scomparsa. Pertanto può solo cantare la quotidianità delle piccole cose. La letteratura così si caratterizza per la consapevolezza della sua inutilità e per questa ragione scrivere significa per Gozzano prendersi in giro da soli: l’ironia diventa autoironia; per Palazzeschi la poesia diventa divertimento. Corazzini proclama in modi dolenti, il rifiuto stesso della poesia. L’esperienza crepuscolare è solo una delle multiformi e variegate esperienze poetiche dei primi 25 anni del Novecento, infatti tramontati i sogni della belle epoque, comincia a sentirsi “il disagio della civiltà”, tale espressione fu coniata da  Freud per indicare l’inquietudine, l’alienazione e il malessere che comportarono rispettivamente la vita nelle grandi metropoli, la meccanizzazione, il trionfo della burocrazia, ma anche l’espansione imperialistica e la “Grande guerra”.

La nascita della società di massa favorisce anche lo sviluppo di una piccola borghesia intellettuale che vive lavorando nella burocrazia statale, nell’insegnamento, nell’industria culturale, pertanto i letterati e in genere gli intellettuali diventano dei salariati legati al mondo del lavoro. Il bisogno di recuperare un attivo ruolo sociale gli artisti lo manifestano attraverso la pubblicazione di riviste politico-culturali, sorte a Firenze; ricordiamo La Voce, L’acerba, L’Unità, Il Baretti, La Ronda, nelle quali con la varietà delle posizioni sostenute, con le reciproche polemiche, è riconoscibile la testimonianza delle inquietudini culturali del tempo. Ma per accennare ad altre esperienze poetiche, dobbiamo anche parlare delle avanguardie che, al di là delle loro specificità, si caratterizzano tutte per il rifiuto del passato anche quello più recente, per la dimensione collettiva, l’internazionalità. Tra questi ricordiamo l’Espressionismo, i cui temi dominanti sono la città mostruosa e tentacolare, la civiltà delle macchine sentite come caos senza senso, che si esprime attraverso i sogni e le allucinazioni. Con l’Espressionismo il dettaglio si scioglie dall’insieme, e a livello soprattutto onirico diventa inquietante (la tecnica della zoomata, usata soprattutto nel cinema), il periodo è breve, il verso libero, il linguaggio spesso gergale o dialettale scelto per il suo valore provocatorio .All’interno dell’Espressionismo , con caratteri specifici si sviluppa il “Futurismo” fondato da Marinetti che nel 1909 pubblica il manifesto del movimento sul Figaro, affermando la necessità di abolire i musei, le accademie e le biblioteche, espressioni di un passato tutto da distruggere ed esalta il progresso, la macchina, la velocità, la violenza, la guerra, sola igiene del mondo, In ambito letterario, il Manifesto tecnico della letteratura futurista propone le parole in libertà, che conducono alla distruzione della sintassi, all’abolizione della punteggiatura, all’uso dei verbi all’infinito, delle onomatopeie dei segni musicali e matematici, sino all’acrostico, proposto da Apollinaire, ma anche da Marinetti. Anche il Dadaismo rifiuta il moderno, la novità, ma rifiuta anche la letteratura del passato, fondata sull’umanesimo, la comunicazione esistente e la concezione del linguaggio come rivelazione dell’assoluto, in quanto semplice espressione di suoni, spesso senza senso. Non possiamo concludere questa veloce carrellata senza accennare al Surrealismo per il quale l’arte deve esprimere l’inconscio, concepito come luogo in cui reale ed immaginario, passato e presente si mescolano; da qui la proposta di una scrittura automatica, che proponga senza mediazioni i moti profondi dell’Io, attraverso libere associazioni mentali.

La poesia europea prescindendo dagli artisti già menzionati, vede emergere in Francia nell’ambito del movimento Dada, Breton che fu pure tra i padri del Surrealismo, in Romania Tzara, in Russia il futurista Majakovskij. In Italia la rottura con i padri della poesia avviene, oltre che con i versi crepuscolari e futuristi di cui si è già brevemente detto, anche con la produzione di artisti che al di fuori di tali movimenti vivono comunque un lacerante conflitto con il mondo: il “sonnambulo” di Sbarbaro  girovaga nella dimensione labirintica della città, nella modernità alla ricerca di un senso. Dare significato all’esistenza è anche l’obiettivo della poesia di Rebora che, dando voce ai soldati della Prima guerra mondiale, offre un terrificante esempio di come la guerra possa rendere consapevole l’uomo dell’insensatezza della propria vita, di fronte alla quale l’unico conforto è dato forse dall’amore. In lacerante conflitto con il mondo è anche la poesia di Campana, nella quale la realtà quotidiana cova particolari perturbanti che all’improvviso emergono per sottolineare il senso di sradicamento e di esclusione del poeta dall’universo circostante.

 Nel 1925 in Italia il fascismo diventa regime, ma l’affermazione di un sistema totalitario di destra non è solo un fenomeno italiano, riguarda anche la Germania, la Spagna il Portogallo e in Asia il Giappone. La politica aggressiva ed imperialistica soprattutto della Germania nazista è una delle cause decisive della Seconda guerra mondiale che impiegò armi terribili, come la bomba atomica e si effettuarono stragi inenarrabili,  soprattutto nei confronti del popolo ebraico. Inoltre, essa fu influenzata da campagne politiche di propaganda condotte soprattutto attraverso la radio e il cinema. Così, i nuovi media divennero gli strumenti attraverso i quali condizionare il gusto e le idee della popolazione.

L’avvento di una cultura di massa in larga parte controllata dallo stato, suscitò la reazione degli intellettuali che spesso assunsero una posizione di distacco e di superiorità, chiudendosi nella loro repubblica delle lettere. Ma non tutti: vari intellettuali si impegnarono nella lotta partigiana che contribuì in modo determinante al nascere di un nuovo corso della storia: la nascita della Repubblica Italiana le cui fondamenta sono dati dalla “Costituzione” varata il primo gennaio del ‘48 e tuttora carta d’identità del nostro paese. Negli anni Trenta, si delineano quindi due tipi di letterati: “il letterato-letterato” e “il letterato ideologo” che agisce all’interno degli apparati ideologici e politici per sostenerli o contrastarli. Il letterato-letterato si arrocca nella città delle lettere e trova nella rivista Solaria il suo principale strumento di proposizione di una poetica votata al disimpegno e per questo propone in prosa, il vagheggiamento memoriale o la trasfigurazione del dato reale in una dimensione arcana e simbolica. Nell’ambito della poesia invece, il rifugio nel proprio io, la solitudine esistenziale, la ricerca della parola essenziale, chiusa, difficile: nasce la poesia che proprio per tale sua caratteristica viene chiamata “Ermetica”. L’intellettuale ideologo che si oppone al regime, come il liberale Gobetti o il comunista Gramsci, in questo momento è marginale perché è messo a tacere dal regime.

La poesia ermetica viene considerata una delle maggiori se non la maggiore espressione della poesia italiana del Novecento: Ungaretti, Quasimodo, Gatto, e in parte anche Montale e Luzi ne sono i principali rappresentanti,  ma il ruolo di iniziatore e maestro riconosciuto fra essi spetta ad Ungaretti. Egli procede da un’iniziale rivolta contro le forme poetiche tradizionali ad una lenta e faticosa realizzazione di volontà di canto che lo porta a riconquistare e rinnovare il tradizionale endecasillabo; sul piano umano, la strada percorsa va da un’ideale constatazione della solitudine e del dolore dell’uomo relitto nel naufragio della guerra che in ogni modo imprime nel suo animo un profondo attaccamento alla vita e alla fraternità in “Allegria di naufraghi”, silloge formalmente del tutto ermetica, alla drammatica riconquista delle certezze offerte dalla fede tradizionale, alla coscienza di ripercorrere nell’esperienza dolorosa della propria esistenza, una strada che è comune a tutti gli uomini, in “ Sentimento del tempo” e in “Dolore”. La poesia di Ungaretti ha uno stretto legame con la sua vita e non a caso il titolo “Vita di un uomo” che il poeta ha voluto per la sua opera omnia, diventa una espressione di poetica. Ungaretti e in genere gli Ermetici attribuiscono una rilevante importanza alla ricerca della parola essenziale, pura, pregnante, che depurata da qualsiasi intento oratorio e sciolta da legami logico-sintattici, attraverso il puro gioco analogico sa rilevare il quid profondo, la pregnanza semantica che la parola aveva nella notte dei tempi. Il retroterra dell’esperienza ermetica è complesso e vede l’influsso non solo di modelli italiani, quale quello di Pascoli, ma anche di modelli stranieri, da quello dei Simbolisti di fine Ottocento. Alla chiusura ermetica si oppone la poesia chiara ed onesta di Saba, chiarezza ed onestà che il poeta deve perseguire in primo luogo in relazione con la sua funzione sociale che consiste nel rapporto profondo che la poesia è in grado di stabilire con le leggi elementari della vita, quali l’eros. Dopo la seconda guerra mondiale, l’irruzione delle masse nella storia avvenuta con la lotta della resistenza, con la nascita dei grandi partiti e lo sviluppo dei sindacati, la posizione di chiusura degli intellettuali era destinata a non sopravvivere, l’impegno diventa quasi un obbligo e ciò lo dimostra la presenza dell’impegno civile anche nell’ermetico Quasimodo nella silloge “Giorno dopo giorno”, dove l’autore viene ispirato da momenti ed eventi della Seconda guerra mondiale.

I teorizzatori per eccellenza della necessità dell’impegno furono, come già si è detto, Gobetti con “La rivoluzione liberale” e poi Gramsci con “L’Ordine nuovo”: da loro, pur partendo da posizioni politiche diverse, l’attività letteraria ora viene vista necessariamente in rapporto con le questioni più vive della società; in particolare Gramsci nei “Quaderni dal carcere”, propone la figura dell’intellettuale organico, ossia legato organicamente al gruppo sociale.

Nasce così il Neorealismo, sinonimo di denuncia, di realtà che trova ampia esplicazione nella narrativa e nel cinema, ma che non manca neanche nell’ambito della poesia : la già citata silloge di Quasimodo, molta poesia di Montale, solo per citare i più noti. Una grandissima influenza sulla poesia italiana di questo periodo ha la poesia europea , tale esigenza, proposta favorisce la divulgazione in Italia dei principali autori stranieri. Nel 1975, Montale riceve il premio Nobel per la letteratura e in tale occasione pronunzia un discorso in cui rivela tutto il suo pessimismo di fronte alla possibilità di sopravvivenza della poesia. La società attuale, sostiene Montale, è dominata dalla tendenza allo spettacolo e al consumismo, “l’arte è diventata produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via, in attesa di un mondo nel quale l’uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza. In tale paesaggio di esibizionismo isterico (cioè di esagitata mostra di sé cui ci abituano giornalisti e televisione), quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia?” A questa domanda che si ripete più volte non dà risposta, ma fa comunque intuire il suo pessimismo.

La domanda che Montale si pose nel 1975 è valida anche adesso, perché ancora non siamo in grado di dare una risposta. Gli anni che vanno dal ‘56 alla fine del millennio, secondo molti intellettuali, segnano un passaggio epocale. All’età moderna succede l’età post-moderna, le cui caratteristiche si connotano soprattutto a partire dagli anni ‘70, visto che il decennio precedente si caratterizza ancora per la fiducia nel progresso, di cui il boom economico di quel periodo è espressione. Gli anni Settanta invece sono caratterizzati da una profonda crisi energetica, legata alla guerra arabo-israeliana, e all’innalzamento del prezzo del petrolio. Alla crisi economica si aggiunge una crisi culturale: dominano un senso di sconfitta e di chiusura nel privato, d’abbandono degli atteggiamenti di rottura e di contestazione. Gli intellettuali si ripiegano a lavorare su testi e stili del passato, che sono citati o rimontati insieme spesso in modo disimpegnato e divertito. Intanto, nel 1989 la caduta del muro di Berlino, preannunzia la fine dell’Urss e ciò determina un nuovo assetto geo-politico nell’Europa dell’est e nuove guerre, come conseguenza dei rigurgiti nazionalisti dei vari stati; anche il Medio oriente continua ad essere in una condizione di guerra permanente . Le industrie fanno fronte alla crisi attraverso processi di tecnologizzazione del lavoro e tendono ad espellere la mano d’opera tradizionale. Insomma, si entra nella fase della mondializzazione dell’economia. Le multinazionali non interagiscono più con i singoli stati, ora pochi gruppi industriali agiscono al di fuori di ogni controllo nazionale e sovranazionale e la politica direttiva dello stato sull’economia non è più possibile. L’informatica acquista un ruolo di primo piano non solo nella ristrutturazione industriale tradizionale ma nel generare, con il conseguente sviluppo delle telecomunicazioni e della telematica, un nuovo tipo di produzione: la produzione dell’informazione, della cultura, dello spettacolo dell’intrattenimento, diventando così la cultura una nuova merce e sconvolgendo il modo di vivere il tempo, lo spazio e le distanze. L’universo dei linguaggi diventa pervasivo, fino a rimpiazzare il mondo delle cose e dell’esperienza reale: è il trionfo del virtuale, che segnala una difficoltà crescente ad avere rapporti concreti con il mondo circostante. La crisi culturale, il trionfo virtuale, la globalizzazione sono gli elementi caratterizzanti il cosiddetto Post-moderno. Ma esso è ancora in corso? Oggi, a seguito dei tragici avvenimenti con cui è iniziato il nuovo millennio (l’11 settembre nel 2001, la Seconda Guerra del Golfo nel 2003, i potenti flussi migratori verso i paesi ricchi mentre alcune zone del mondo sprofondano in una miseria sempre più nera) si registra la fine del disimpegno, che comunque non era integralmente diffuso neanche prima e si nota una rinnovata attenzione nell’ambito della letteratura e dell’arte in genere, per le problematiche sociali e in genere per la realtà. Ma dopo questa complessiva esposizione del contesto storico e della realtà culturale, entriamo nelle specifico della poesia.

Nel ‘56 nasce la rivista Officina, ad opera di Pasolini, Leonetti e Roversi, essa si propone di opporsi sia al Neorealismo che al Novecentismo (ossia la tradizione lirico-simbolico-ermetica) e propone lo sperimentalismo, forme di scrittura nuove. In questo contesto. La prima manifestazione esplosiva del nuovo fu l’antologia “I Novissimi” che conteneva poesie di  Giuliani, Sanguineti, Balestrini, etc. Questi poeti si chiamarono Novissimi nel senso di ultimi con la volontà di meravigliare il pubblico e di provocarlo con i loro versi incomprensibili. Infatti, essi considerano il linguaggio quale luogo e strumento attraverso il quale esprimere le contraddizioni della moderna società di massa. Il passo successivo fu la fondazione a Palermo del Gruppo 63 e la Neoavanguardia diventa a questo punto il fatto più nuovo.  Venuta meno la rivista Officina, parte della sua eredità viene raccolta dal Menabò di Vittorini e Calvino, che tentano una mediazione tra le posizioni contrastanti delle due precedenti riviste. Calvino in particolare invita a non considerare la letteratura come l’unica contestazione possibile agente esclusivamente sul piano tecnico-formale ma ad uscire dal magma indifferenziato o della caotica realtà contemporanea. Per Vittoriani, il tema industriale deve entrare nelle poesie e nei romanzi. Ma intorno al ‘74-‘75 la Neoavanguardia era già finita, infatti divenuto egemone, ad opera di ex contestatori, quali Cacciari e Vattimo un nichilismo fondato sull’asse Nietzsche-Heidegger deriva da ciò in ambito poetico la pubblicazione di un’antologia dal titolo “La parola innamorata”. I poeti si definiscono post-moderni perché riprendono l’idea della supremazia del linguaggio e quindi del poeta che usa il linguaggio ma tale elemento post-moderno viene poi rivissuto secondo i moduli della tradizione del simbolismo e dell’Ermetismo. Si tratta, dunque di un post-modernismo tradizionalista.

Un momento significativo di quegli anni è il 1984. In quest’anno, promosso dalla rivista Alfabeta si svolse a Palermo un notevolissimo dibattito, titolato “Il senso della letteratura” e in questa occasione la parola innamorata e ciò che essa comportava raggiunsero il massimo successo. Nel quasi ultimo ventennio è difficile indicare direzioni ben precise perché tantissimi sono i poeti ed eterogenee le tematiche e le modalità espressive adoperate, anche se, come già si è detto prevale di fronte alla crisi attuale un ritorno all’impegno. Quello che manca davvero alla poesia attuale è chi la legga, al punto che spesso si ha l’impressione che i versi stampati in un libro pubblicati in un sito letterario siano soppiantati da quelli messi in musica, modulati dalla voce dei cantautori. Di certo la canzone riesce a raggiungere un pubblico enormemente più vasto da quello sfiorato dai poeti. Ma attenzione, è vero che poesia e canzone condividono l’uso letterario del linguaggio, ma si differenziano poi per tutta una serie di caratteristiche che impediscono la semplicistica equiparazione delle due forme espressive.

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